L’inverno
ha girato la boa e in questi giorni di pioggia e nuvole vaganti
abbandona le pretese di gloria delle scorse settimane, quando il
cielo pulito e in terra il letto di foglie, mobili per il vento forte
e scroscianti per la lunga siccità, splendevano nelle luce
folgorante del sole basso.
Tutte
le foglie sono i cadute e dopo di esse anche il loro colore è morto;
il bosco è spoglio e i pendii scoperti come mai negli altri periodi
dell’anno. I tronchi sono soltanto stecchi neri, il letto di foglie
è marrone marcio e persino il grigio delle nebbia che si muove,
nasce e muore nei valloni serve a dare un po’ di luce e vita.
E’
la stagione più morta dell’anno. Morta e sepolta.
Dalla
veranda ben riscaldata della trattoria si vede il pendio di fronte. Ha ripreso a piovere e la nebbia si è alzata lasciando la valle
nuda: tutto il mondo è nudo.
Non
posso fare a meno di pensare che chi viveva nei monti doveva avere
come primo pensiero quello coprire questa nudità, uccidere il freddo
e togliersi di dosso la sua mortale umidità. Scogli in mare che
aspettavano che passasse il freddo e ritornasse la luce per
riprendere la loro vita sospesa.
Liberati
dal freddo, sollevati dalla fame, beneficati dalla luce accesa e
spenta a nostro piacimento, dimentichiamo che nulla è dovuto e nulla
è comunque garantito.
Ma più
che a noi continuo a pensare a loro e alle loro case, fatte solo di
muri, tetto e un focolare. Senza punti luce da regolare a volontà.
Senza caldo diffuso appena si passa la soglia di casa. Senza acqua se
non quella del secchio riempito alla fonte. Senza gabinetto! Con
pochi ed essenziali mobili o incavi nel muro, e d'altronde con così
poca roba da metterci dentro che erano più che sufficienti. Senza
cibo se non quello che si poteva conservare dopo averlo preparato,
non comperato, e qualche volta anche senza quello. Senza la
possibilità di aprire ogni volta che si vuole un armadio per cercare
un capo pulito o più caldo oppure lo sportello dei medicinali se c’è
qualcosa che non va e poi la mattina successiva chiamare il medico di
famiglia. Senza poter risolvere le emergenze con una telefonata e con
le distanze misurate solo dai propri passi. Con la fatica per le
braccia e non per le macchine.
In
breve tutta la vita come il più scomodo dei bivacchi che possiamo
aver sperimentato.
Poi
penso anche a me che stasera non ho la connessione internet e ai
problemi che questo mi crea: forse la mia ricerca di essenzialità
deve fare ancora molti passi prima di potermi considerare
soddisfatto.
Mi solleva però il fatto che non do per dovuto tutto
ciò che ho e che quando sono in trattoria riesco a vedere non solo
dentro, ma -leggermente asociale e come sempre leggermente fuori
posto- anche fuori, verso il pendio di fronte.
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