Aurelia

(dal "Fondo antico dei quaderni, 2)

Il 1973 fu l’anno della crisi petrolifera, la prima e madre di tutte le altre che poi seguirono.

Fu allora che egli iniziò a considerare Aurelia non come un transito verso mete interessanti, ma come essa stessa un’amica silenziosa e compiacente meritevole di essere percorsa durante le famose domeniche senz’auto che furono il nostro primo tentativo di tacitarsi la coscienza ambientale in modo impercettibile e discreto come solo noi italiani sappiamo fare.

Tuttavia, siccome il percorso verso ovest era per antica tradizione considerato ostico come nei tempi antichi (l'autostrada per Savona coda sicura, Aurelia schiacciata contro l’Appennino subito dopo il capolinea degli autobus di Voltri, tutto che diventava in quel punto improvvisamente verticale e faticoso in qualunque direzione), il pensiero era andato alla strada verso La Spezia, dove prima di arrivare alla chiusura d’orizzonte del Monte di Portofino Aurelia usciva più dolcemente e gradualmente dalla città e il Bracco era tanto remoto da essere piuttosto un luogo -spaventevole- dello spirito che una particolarità geografica com’è un valico più longitudinale che trasversale.

Così aveva convinto amici (e fortunatamente amiche) che una passeggiata dal capolinea degli autobus di Nervi verso est, sino al tramonto, era un modo piacevole di trascorrere i pomeriggi domenicali al pari dei giochi di società allora venuti in voga. A modo suo aveva inventato, se non le vacanze-intelligenti, troppo care per loro, almeno i pomeriggi intelligenti.

Poi la crisi del petrolio dopo robusti rincari nel prezzo della benzina era stata dichiarata ufficialmente chiusa e Aurelia era tornata a intrattenersi sconciamente con automobilisti rumorosi e, indirettamente s’intende, puzzolenti. Siccome il gusto di camminare tranquillamente fra Bogliasco e Pieve mentre gli automobilisti marcivano in coda veniva presto a noia, anche quelle domeniche ecologiche ante litteram erano terminate e Aurelia era tornata per lui a una funzione di servizio.

Tornò a scoprirla con il tempo, quando gli si offrivano occasioni di essere fuori dall’ufficio nelle ore canonicamente dedicate al lavoro, che sono le quelle in cui si può sperare di scoprire le cose non in solitudine, che sarebbe troppo sperare, ma neppure in comitiva come alla domenica pomeriggio. Man mano che imparò a conoscerla, Aurelia divenne per lui sinonimo di luce alta sul mare, una bellezza composta e civile che si mostra in certe ore del giorno ai fortunati che abitano lì vicino, ammesso che abbiano voglia di osservarla e siano abbastanza civili loro stessi da corrispondere.

Purtroppo la prima Aurelia che era venuta dal sud a far visita a quella terra dei Liguri, si è ormai persa come un turista che esce dall’autostrada e va verso l’interno invece che verso la costa e si trova smarrito su una stretta via di crinale con il mare che si allontana in basso. Ormai vecchissima e un po’ svanita è scomparsa in qualche valletta, salvo poi ritrovarsi senza neppure accorgersene a un capo a picco sul mare, stretta, accaldata, odorosa e pungente d’erbe mediterranee, pronta a darsi al primo venuto nella nostalgia dimentica e incosciente di un tempo ormai irrimediabilmente trascorso; sia chi sia quel primo venuto, un mountain biker che pensa solo a pedalare e neppure vede le tracce della sua antica bellezza oppure un tedesco ansioso di fotografare tutto-mare-e-natura e troppo educato per accorgersi di lei e approfittarne.




Anche i tratti più selvaggi di Aurelia, come al Malpasso, per lui esprimevano non Aurelia ma tutta la Liguria primigenia, che fantasticando amava pensare come una misteriosa terra di foreste e alti ripidi costoni che guardano l’infinito e un tempo chiudevano l’accesso dal mare ai naviganti greci ed etruschi, i quali su quella terra e nella Costa delle Balene trovavano l’assaggio di un nord diverso, più verde del Mediterraneo delle fiumare asciutte e del granito della Sardegna e dell’Elba a cui erano già abituati. Una terra abitata da genti non proprio selvagge ma desiderose di starsene in pace fra i loro boschi e all’ombra delle loro valli, e quindi destinate a soccombere da (presunte) selvagge di fronte alla civiltà.

L’Aurelia che lui amava di più e andava a salutare quelle volte che aveva il tempo era invece moderna ma non più giovane, un'anziana signorina, molto educata e talvolta fuori dal mondo, come un personaggio di Gozzano. Una discreta suonatrice di pianoforte, che al sole avrebbe aperto volentieri un ombrellino bianco se soltanto avesse potuto, e stava vestita di giallo pallido nella penombra di un antico giardino cinto da alti muri. Se non c’era molto traffico si affacciava alle finestre di ville e villette centenarie, oppure guardava il panorama dall’alto di qualche mirador costruito da un emigrato, che fatta la sua fortuna in Sudamerica era ritornato a mostrare, sobriamente come si deve in Liguria, il proprio decoro.




Poi, siccome la realtà è sempre piu complessa di quanto appaia subito e man mano che si svolge cambia di colore come certi gomitoli di lana, vide che in quella stessa regione abitavano altre Aurelie che lui imparò a conoscere, tutte con lo stesso nome ricevuto per tradizione o in memoria della comune e remota progenitrice; la quale stava non distante ma era ritenuta da molti ormai morta, sempre che fosse rimasto in famiglia il ricordo della sua esistenza.

Lalla Aurelia era una vecchia senza età che portava ancora il fazzoletto scuro in testa e abitava in una casa di colore ormai indefinibile che sulla strada principale dava soltanto un muro curvo per tutti i possibili piani di taglio. Le finestre si affacciavano invece su una strada che girava subito in dentro quasi ad allontanarle dalla vista della carrozzabile (ma le carrozze erano rimaste soltanto in ipotesi) e guardavano verso un muro da cui spuntavano alberi e lontano il mare mentre le palazzine moderne erano state nascoste da una provvidenziale servitù d’altezza. Quando lalla Aurelia apriva la finestra per far prendere aria alle stanze mentre preparava il minestrone in cucina, veniva fuori un odore di sugo legno e cera sui pavimenti di graniglia, tanto gradito quanto alle prime inaspettato e quasi dimenticato. La vecchia zia, in realtà più antica di una nonna, usciva di casa molto raramente e a parte le visite che faceva a una fascetta sopravvissuta subito al di là del muro di fronte per andare a prendere insalata, e boraxe nelle grandi occasioni, attraversava la carrozzabile solo per andare a Messa e comperare pane latte e poche altre cose dalla scia Relia, che poco distante vendeva di tutto in un negozio aperto molti anni prima, di ritorno dal Cile presa da nostalgia per la luce di quella strada sul mare dove era nata, ormai tanto cambiata dopo il suo ritorno.

Suor Aurelia viveva da molti anni dietro un’alta muraglia in un antico convento che nei tempi passati aveva visto rinchiuse molte giovani di grandi famiglie e ora ospitava un pensionato per persone anziane. Nei cameroni ombrosi di quella casa antica si stemperava la luce delle fasce ad olivi e si udiva talvolta persino un leggero gorgoglio d’acqua, raramente di un beo quasi sempre a secco, più spesso di una fontana non ben chiusa.

Di tutte le Aurelie che abitavano da quelle parti, la più disinvolta frequentava edifici anni ’50 a metà strada fra il razionalismo e la balneazione a pagamento e calcava con i sandali le piastrelle a delfini e cavallucci di mare di alcune passeggiate, che avevano accolto milanesi e torinesi di alto livello in epoche in cui andare a Mentone significava attraversare la frontiera e New York era lontana una settimana di navigazione.




Le altre Aurelie erano invece più ordinarie, se non volgari, perché avevano avuto poco tempo per la propria educazione e si erano date da fare sin da giovani.

Per esempio due sorelle, la prima che abitava in una palazzina tirata su in economia negli anni ’60, dalle piastrelle rosse sul marciapiede davanti a una bottega di alimentari con la vetrina in alluminio anodizzato e di fianco a un giornalaio e a un locale con la serranda sempre abbassata e un cartello di passo carrabile, devo entrare e uscire a tutte le ore e dico proprio tutte!

L’altra in una stazione ferroviaria. Questa, dopo un periodo fortunato in cui aveva molti amici che frequentavano il bar e l’edicola, si era immalinconita per la chiusura della biglietteria e aveva perso tutte le sue relazioni sociali. La gente saliva e scendeva di corsa dal treno e neppure si accorgeva di lei che si lasciò andare e, ad essere sinceri, ormai puzzava anche un pochino.

Una umanità di Aurelie ricca e varia. Non tutte altrettanto fortunate, ma tutte in grado di mostrare la propria bellezza o perlomeno una grazia innata di famiglia, che il sole della riviera tirava fuori in un istante e che, anche nei casi più trascurati, suonava come un rimprovero a chi non era in grado di dare una messa in piega a quelle signore e signorine; le più giovani in grado di far girare la testa a tanti padani anche benestanti; le altre interessanti e di buona compagnia, senza contare che sul lungo arco costiero altre Aurelie adolescenti si preparavano alla propria maturità di donna in fiore.

Con tutte egli manteneva ormai cordiali rapporti anche se con alcune si apriva a maggiore confidenza perché le sentiva più vicine. Comprese che lo avevano seguito e osservato con discrezione, più di quanto lui avesse contraccambiato. Se da giovane gli sembravano un po’ vecchie e polverose, adesso, forse anche perché avevano più soldi per curare il proprio aspetto, si era reso conto della loro bellezza e di quanto valesse il caso di osservarle con attenzione: così, dopo un periodo di infatuazione per l’autostrada, capì che quasi mai la bellezza sta nella velocità, e prese l’abitudine, se era in auto e doveva muoversi in riviera, di percorrere Aurelia tutte le volte che poteva per guardare con attenzione quella folla di sorelle, che anche quando erano dimesse ormai sentiva come proprie sorelle.

Un giorno dovette andare a passare una visita specialistica in un'altra città da un ortopedico, per via di un menisco che gli doleva molto dopo che lo aveva strapazzato troppo correndo più del dovuto e facendo così uscire una magagna sino ad allora rimasta latente. Anche quella volta, con la facile scusa che la visita era in tarda mattinata ma tanto valeva alzarsi presto e uscire di casa assieme agli altri, raggiunse la meta non in autostrada ma lungo Aurelia.

La notte precedente il tempo era girato a tramontana e aveva fatto una ventata furiosa, di quelle che mettono la frenesia addosso e ti fanno chiedere cosa aspetti a partire. Dopo aver accompagnato al lavoro la moglie si mise in macchina verso la meta. Il cielo era terso e al tempo stesso caldo e morbido come succede soltanto in riviera. Ogni oggetto era sospeso nella luce ma anche tanto netto nei contorni da sembrare che esso stesso raggiasse luce.




Guardava con la coda dell’occhio nello specchietto retrovisore, che rimpiccioliva e rendeva più nette le cose che si allontanavano da lui in un cono di luce sempre diverso, sfolgorante quando i raggi del sole riflessi prendevano la direzione giusta verso i suoi occhi. Il gioco lo prese oltre il dovuto e nonostante creasse uno stato di pericolosa distrazione e di rischio fu continuato per un bel pezzo sin quasi alla meta. Non riusciva a distogliere lo sguardo per guardare solo avanti e tutto quanto incontrava man mano si allontanava subito, risucchiato nella luce di quel mattino fortunato.

Agavi abbarbicate alle rocce grigioverdi.

Le bianche staccionate di uno stabilimento balneare, che sembravano appena ridipinte.

Le foglie laccate degli alberi di qualche giardinetto pubblico che si affacciava lungo la strada, con le panchine dove i vecchi seduti a leggere il giornale o semplicemente a guardare il tempo che passa (assieme al camminare la più nobile occupazione per ogni essere umano) sembravano allontanarsi nel tempo oltre che nello spazio e ritornare di nuovo giovani.

La stessa cosa succedeva alle palazzine anni ’50, con le ringhiere dei poggioletti a sottili bacchette inclinate di metallo, i mosaici sopra il portone e, le più nobili, gli infissi di legno chiaro verniciati più volte: esse si scrollavano gli anni di dosso e tornavano ingenue e leggere come quando erano nate e bastava poco per essere giovani e moderni.

Tutte le case perdevano la patina del tempo e diventavano altrettante cartoline.

In qualche valletta vicina al mare che si era conservata verde di vegetazione, quando doveva girare brevemente verso l’impluvio e poi ritornava subito verso il mare per riallinearsi alla costa, il grigio dei muri delle proprietà e il verde degli alberi e degli arbusti si alternavano rapidamente in un gioco di sole e di ombre, una veloce fuga di macchie chiare e scure.

Persino le strisce pedonali e le insegne stradali diventavano nette come in un quadro iperrealista.

Presentì che forse, se avesse avuto la possibilità di guardare con attenzione invece che guidare, avrebbe visto che camminando piano si allontanava da lui anche un bambino in calzoni corti, che andava per mano a una signora non più giovanissima, o meglio senza età come le mamme della pre-modernità, con un vestito forse modesto ma confezionato dalla sarta per le migliori occasioni (adesso non usa più). Un bambino che procedeva serio anche più del dovuto ma felice che la mamma che aveva tante cose da fare e doveva lavare e stirare per tutti trovasse il modo di dedicare un po’ di tempo a lui specialmente, e a sé stessa, che agli occhi del bambino erano ancora la stessa cosa. Ma forse era meglio che la guida gli impedisse di guardare, perché ormai avrebbe faticato a riconoscere il bimbo e la signora, e se ci fosse riuscito gli avrebbe preso il magone.

Quando arrivò a destinazione, nel tragitto a piedi fra il posteggio e lo studio dell’ortopedico si rese conto di colpo che il mondo che stava davanti a lui e che aveva appena visto tanto lucido, era pronto ad allontanarsi altrettanto veloce delle cose che fuggivano dallo specchietto posteriore. Oppure, ma è la stessa cosa perché il moto è solo relativo, era lui ad essere ormai più distante dal bambino che dal tempo in cui era inevitabilmente destinato ad allontanarsi dal mondo e dalle cose, che lo avrebbero visto rimpicciolire e poi scomparire in lontananza lasciando soltanto la traccia imponderabile del ricordo. Pertanto decise che doveva partire e poi ritornare per sempre a casa, senza debito di altri viaggi: un lento viaggio a piedi da pellegrino, che gli avrebbe permesso di guardarsi attorno per scoprire -forse- di nuovo il mondo con gli stessi occhi del bambino che quel mattino gli era sfuggito alla vista.

Un lungo viaggio in avanti perché alla soglia della vecchiaia aveva bisogno che il mondo gli andasse incontro e non lui a fuggirne. Sarebbe andato a Santiago de Compostela e oltre e nella prima parte del percorso avrebbe avuto anche il modo finalmente di fare una lunga conversazione con Aurelia, prima di lasciarla a Ventimiglia per altre compagne più esotiche con cui il colloquio, per difficoltà di lingua, doveva essere più semplice e solo funzionale.

In realtà la meta che gli interessava non era Santiago, che però aveva il vantaggio di offrire una buona logistica e una eccellente documentazione di accompagnamento. Il suo traguardo era Finis Terrae, dove era già stato qualche anno prima. Gli pareva che affacciarsi sull’oceano di fronte all’infinito fosse l’unica meta che ci si può prefiggere. Un viaggio per giungere davanti a un ignoto della mente, che prefigura e anticipa una altro viaggio, ben più impegnativo, verso il vero ignoto.

Va però precisato che nonostante queste strane attitudini non era affatto un depresso: talvolta malinconico, questo è vero, ma quanto può esserlo una persona che ogni tanto si ritira con sé stessa e riesce ad ascoltare i propri silenzi. E poi, l’idea che era venuta fuori adesso di colpo era stata anticipata da molti episodi di cui costituiva la naturale conclusione. Forse i problemi al menisco per i quali quel giorno era andato fuori città e che molto probabilmente lo avrebbero costretto a smettere di correre, erano anche la causa che lo spingeva alla ricerca di un’attività alternativa altrettanto entusiasmante e coinvolgente della corsa. Quindi, a ben vedere, vitalità e non depressione.

Oppure, come succede a causa di quello strano impasto di opposti ingredienti di cui siamo costituiti, che ci rende delle macchine di ben scarso rendimento ma adatte a tutti i percorsi e a tutte le condizioni, entrambe le cose, come le figurine dalla superficie zigrinata che appaiono diverse soltanto che si cambi di poco l’angolatura da cui le si guarda.

Se avesse intrapreso il cammino il più delle volte sarebbe prevalsa l’euforia di ritornare giovane e andare all’avventura; soltanto, si riservava un momento di malinconia alla sera dopo cena e talvolta durante il percorso, se tutto era regolare e lo spirito di esplorazione poteva essere messo a riposo per lasciar posto a quello di riflessione. Senza considerare che lo avrebbe accompagnato il potere terapeutico, quando si fossero presentati i momenti peggiori, dell’osservazione minuta delle cose come ci appaiono e magari, semplicemente, sono.

Un giorno ne parlò con la moglie, ma di sfuggita perché si trattava soltanto di un programma, ancora lontano nel tempo, mentre le cose di cui riuscivano a parlare non di sfuggita erano poche, e sempre pressanti. L’idea non destò sorpresa, forse perché in precedenza lui aveva mostrato di apprezzare coloro che intraprendono il cammino, forse perché parve a lei l’evoluzione di un’attitudine che emergeva da tutta la sua vita.

Passò del tempo e il momento in cui avrebbe sospeso le sue attività per mettersi a riposo si avvicinava: veniva il tempo di pensare a Finis Terrae. L’entusiasmo dell’organizzazione lo prese come quando da ragazzo organizzava i campeggi in montagna. C’era da pensare alla logistica delle tappe e degli spostamenti e al percorso da scegliere, con la cadenza delle soste giornaliere e di quelle più complesse, che ogni tanto bisognava prevedere in un viaggio in cui sarebbe stato per mesi lontano da casa. Mise in moto la stessa macchina mentale e funzionale di quelle antiche vacanze degli anni ’60 con lo stesso impegno e la stessa passione di allora nonostante fossero passati quarant’anni. Quell’attività divenne ancora più coinvolgente che in gioventù perché ormai Internet porta tutto, o quasi, vicino e cancella la maggior parte dei tempi morti di attesa.

La partenza non è mai l’inizio del viaggio: una parte di lui era già in cammino e divideva il tempo con quella che era ancora a casa assieme alla famiglia. Una cosa simile sarebbe successa dopo la partenza, quando una parte di lui sarebbe rimasta a casa con la famiglia, decisa a spartirsi il tempo con quella che era in cammino. Lui era fatto così, che fosse un male oppure un bene: non riusciva mai a stare completamente da una parte sola e ciò gli aveva forse nuociuto durante la sua carriera professionale perché molti lo avevano inteso come doppiezza e opportunismo.

In previsione del lungo viaggio volle mettere alla prova l'organismo e soprattutto il menisco, che generando il suo impedimento alla corsa era in fondo responsabile dell'idea del cammino e di aver portato a essere un progetto quell'idea remota che ogni tanto gli veniva in testa negli anni precedenti.

Fece dei lunghi percorsi, anche di più giorni, da casa e sino alla frontiera francese. La direzione era sempre quella, per conformarsi al tragitto futuro. Imparò a conoscere meglio anche quella parte occidentale di Aurelia, che di solito vedeva solo in fretta dall'auto. Amò nei dettagli un paesaggio diverso da quello familiare dei suoi posti; forse più asciutto ed assolato, con le valli si allontanavano più profondamente nell'interno, lasciando alla fine apparire in lontananza montagne di aspetto alpino e alti pascoli che suscitavano una sensazione di luce e fuga di orizzonti. Camminò su quel percorso più volte nelle diverse stagioni, anche con l'acqua e le automobili che passavano vicine a lui sollevando fastidiose scie di gocce infangate. Talvolta la moglie lo raggiungeva in auto alla fine di quei lunghi week-end e trascorrevano ancora una giornata in riviera. Lui la portava nei punti che più lo avevano colpito oppure alla ricerca di mostre e monumenti che nei giorni precedenti aveva visto annunciati da manifesti e da insegne stradali. Se l'ultimo giorno di quelle uscite era un lunedì, al gusto di ritrovarsi e andare alla scoperta di quei luoghi si aggiungeva quello anche più stuzzicante di far visita ad Aurelia non assieme agli altri turisti domenicali, ma quando la vita normale era ripresa. Capitava allora che per via si incontrassero i furgoni che facevano le consegne a botteghe e magazzini e tutti coloro che si muovono per lavoro.

In quelle prove di cammino emergeva ingenuamente dalle sue letture di storia anche il ricordo favoloso di quando ragazzo sentiva narrare delle antiche marche: gli sembrava di andare, lui obertengo, alla ricerca degli aleramici e degli arduinici e tanto bastava per suscitare una nuova eccitazione e curiosità, come se da una curva nel tempo e nello spazio dovesse uscire chissà chi.

Dopo la moglie anche le figlie erano venute a sapere del suo programma ed erano sia dispiaciute per la lunga assenza sia contente e lusingate che alla sua età avesse ancora delle idee tanto balzane. In fondo era una cosa da raccontare, che compensava in buona parte l’idea di avere un padre ormai anziano che smetteva del tutto di lavorare. D’altronde, era la stessa giustificazione che a lui attutiva gran parte dei non trascurabili complessi di colpa.

Certo, la situazione era diversa per la moglie e questa era la ragione per cui nonostante tutto non si decideva a sbloccare la situazione. A inizio di un anno nuovo, nonostante ci fosse ancora tempo perché la partenza doveva avvenire in un certa stagione che non era ancora a ridosso, decise subito che per quella volta il cammino doveva ancora aspettare: non sarebbe stato quell’anno ma il successivo perché per lui non era ancora giunto il momento di lasciare casa.

Un giorno pioveva ed egli era troppo straniato per affrontare con quelle condizioni una giornata di lavoro. Era sempre stato meteoropatico e se una bella giornata serena, possibilmente ventosa, gli faceva affrontare di buon animo ogni situazione perché comunque vada, fuori c'è sempre il sole che ti aspetta e nessuno ti può togliere, le giornate uggiose causavano l'effetto opposto, facendo scattare il desiderio di un rifugio dove nascondersi a guardare inosservato la pioggia che gocciola dalle tettoie e cade sulle foglie e sul terreno infangato. Decise di fermarsi a casa per preparare alcuni dettagli del programma del cammino e lavorò per alcune ore.

Verso mezzogiorno chiuse il quaderno pieno di appunti e andò in cucina dove Aurelia -casualmente neppure lei era al lavoro- stava preparando il pranzo per lui e le altre che dovevano arrivare ancora da scuola. Aurelia gli disse: “Stanotte dovevi essere agitato: hai parlato nel sonno come facevi una volta”. ”Ah sì? E che dicevo? Spero niente di compromettente”.

“Veramente, più che compromettente, assurdo. Dicevi che volevi iniziare il tuo cammino con me e andare a Finis Terrae. Ma tu sei matto! Ti fai il tuo giro, da solo o con i tuoi amichetti, e io sto qui a casa con le bambine. Poi alla fine ti raggiungo a Santiago, visitiamo la città e prima di ritornare indietro stiamo una settimana al mare in Galizia. Come abbiamo già programmato, del resto”.


Sorridendo senza farsene accorgere egli si rese conto che stava diventando bigamo ma ciò non destava scandalo: avrebbe iniziato il suo cammino per Finis Terrae con Aurelia, fatto il bagno nell'oceano ancora con Aurelia, per infine ritornare a casa sempre con lei. Poi, con la stessa compagnia, sarebbe venuto il tempo di altri viaggi e di altre mete. Se era fortunato, ancora molto tempo doveva passare prima del successivo e definitivo viaggio a Finis Terrae, quando per forza sarebbe dovuto andare da solo.

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