domenica 17 gennaio 2021

Alexa nel flusso del nostro tempo che passa

Per esempio, uno dei vantaggi di invecchiare non troppo rimbambiti è che ad Alexa si puo dire "Alexa, metti musica anni xx" dove xx assume ben più valori di quanti ne possano vantare i cosiddetti giovani; si può spaziare a volontà. E "mi ci dite" poco?

sabato 2 gennaio 2021

 Ricordi

(dal "Fondo antico dei quaderni", 4)

Appunti di un escursionista

(29.09.96)



Intorno a Genova non c'è una vera e propria “montagna”, da poter essere citata e spesa come tale a settembre dopo le ferie. Esistono però tanti monti che sino a non molti anni fa imponevano a chi ci viveva un ambiente altrettanto severo e che oggi offrono lo stesso isolamento e lo stesso senso di infinito. Per ragazzi un squattrinati e fantasiosi come eravamo noi trentanni fa è come dire "mangiare bene e con poca spesa".

Quando ho iniziato ad andare per I monti era il '67, '68. Allora non ci avevano ancora insegnato che cosa è il trekking, sicché l’escursionismo -che è la proprio la stessa cosa- era ancora, al pari delle bocce, una cosa da pensionati forse svaniti (Boncompagni, “Alto gradimento”, circa il 1969). Erano lontane le Alte Vie ma esisteva il libretto dei segnavia della FIE che ormai da decenni con efficienza e senza clamore aiutava I volonterosi a girare senza perdersi e a combinare gli itinerari. Siccome il trend era tutto sul sociale e sul dibattito, un'attività come “andare in gita”, così si diceva, un po' solitaria e favorevole più alla discussione personale che all'approfondimento assembleare  era considerata bizzarra; forse c’era anche l’avversione per l’attività fisica in quanto tale, che la memoria associava spesso al vigorismo bicipitale del ventennio non molto lontano e a qualche tardo epigono di esso ancora in circolazione.

Così talvolta anche noi uscivamo dalla città un po' imbarazzati, in genere di mattina molto presto con il primo autobus o treno e con gli zaini sulle spalle. Gli zaini, altro argomento importante. L’Invicta era poco conosciuta, non aveva ancora iniziato a combattere davanti alle scuole di tutta Italia. I nomi erano Cassin, Millet e altri che finivano tutti per consonante. Ma a Genova resisteva ancora un artigiano, che in vico Lavagna ne faceva di bellissimi con l’armatura in vimini, il sacco in tela marrone e I tiranti in pelle vera, che adesso con un piccolo reshaping potrebbero benissimo stare nelle vetrine di Vuitton.

Se uno non si accontentava dei segnavia della FIE e voleva personalizzarsi il percorso o magari farne uno non segnato I riferimenti erano le tavolette al venticinquemila dell’IGM che vendevano in poche librerie. In genere l’ultimo aggiornamento era del ‘36, salvo per qualcuna sulla costa dove trovavi addirittura l’autostrada per Savona, quella vecchia naturalmente. La cartina, senza strade e le frazioni isolate raggiungibili con sentiero o mulattiera era molto bella da leggere e fascinosamente evocativa di wilderness. Come inconveniente la progettazione del percorso era poco aderente alla realtà, ma molto più avvincente: "on the field" bastava far finta di non vedere la strada quando si era costretti ad attraversarla e l’incanto era ricreato.

Tutte le guide che ci sono adesso, anche nelle edicole, per andare a piedi, a cavallo, in mountain-bike e fra un po’ anche in deltaplano e con gli sci d’erba erano ancora nella penna di Dio. C’era il Dellepiane, ultima edizione il 1924, richiestissimo, qualche vecchia guida di Tamari e qualche brochure, che magari ti mandavano in omaggio tanto erano sorpresi dalla richiesta di informazioni. La guida Montagna-Sabbadini del CAI Ligure ha aperto nel ‘74 la strada a quelle della nuova generazione, ma ora la qualità è qualche volta un optional e spesso si sente un po' troppo odore di moda o business.

Nel libretto dei segnavia il percorso piu’ importante, la main road degli escursionisti, erano le palline blu, che poi sono diventate l’Alta Via e che cucivano I percorsi rossi sul mare con quelli gialli sulla padana, dal Sassello al Gottero. Fare tutte le palle blu era una integrale di grande pregio. Poi qualcuno e’ partito dalla Calabria, ha risalito tutta l’Italia e la gente ha finalmente iniziato a pensare che l’escursionismo poteva essere alternativo ed ecologico.

Infatti anche l’ecologia era intanto esplosa come moda (‘70 Anno della Conservazione della Natura, I limiti dello sviluppo in una primavera silenziosa simulata dal club di Roma, il ddt nelle foche polari, ... ), rivestendo le scienze naturali -di cui l’ecologia è parte e che fin allora erano state considerate adatte solo a signori in divisa coloniale e retina per farfalle- con una vernice accattivante. Da allora i media hanno cavalcato l’ecologia senza scenderne più giù, anche perché nel frattempo il cavallo ha iniziato a fare tendenza anche se sporca per strada nei momenti meno opportuni. E va già bene così, perche’ un messaggio giusto, anche se disturbato da tanto rumore di fondo e da segnali spuri, è utile; tanto più che la nostra capacità operativa di far danno è cresciuta con il quadrato del reddito, lasciando indietro di molte lunghezze le due educazioni ambientale e generica, che al reddito in quanto tale sono molto più refrattarie.

Parlavamo di primavera silenziosa. Anche Caproni ci ha parlato del silenzio, ma ce ne siamo accorti molto meno e l’esodo è continuato indisturbato. Ormai è finito e anche l’ultimo della Moglia ha staccato la lanterna dal muro ed è sceso nel vallone. Al silenzio dei monti risponde quello cittadino, "sordo d’un frastuono senz'ombra d’anima. Di parole senza più anima". Sarà difficile ritornare alle "matte risate, la sera, all'osteria", e riportare lassù qualcosa che si è perso se anche qui in città non sappiamo dove cercarlo.

Le strade erano già tante ma un po' meno di adesso. Così capitava di salire da Apparizione al Fasce e arrivati alle case Becco, dove allora finiva il tracciato della “grande corniche” di casa nostra, di trovarsi a un valico come l’avevano visto cent’anni fa i mulattieri e I viandanti che non per hobby ma per fatica e per necessità salivano dalla riviera verso l’interno. Una casa abbandonata, già osteria, un grande albero e la selletta con il verde del prato pulito, in un pomeriggio di aprile sul tardi. Era una bellezza incredibile, sospesa dal tempo, che abbiamo buttato via per eccesso di ignoranza. Poi da colle Caprile scendevi con l'autostop e ti chiedevano chi te lo faceva fare.


L'Antola, che è sempre stato il monte dei genovesi, era come adesso una meta principe. In qualunque sabato e domenica ci trovavi qualcuno, e spesso anche durante la settimana. Qualcuno ci saliva di notte e numerosi erano quelli che andavano di inverno. Persino nella combinazione inverno-notte-neve non siamo stati soli.
L'Antola aveva un nume tutelare che gli escursionisti che hanno più di 40 anni ricordano tutti. Era l’Albina Musante che in qualunque giorno dell’anno tranne il martedì, giorno di rifornimento a Bavastrelli, ti accoglieva nella sua casa-rifugio. Adesso c’è solo un rudere diroccato a fianco al rifugio, che a vederlo ti piange il cuore, sicché quando vado su se posso salgo solo alla Croce senza neppure passarci davanti. Dopo tanti discorsi fatti da quando è morta l’Albina, aver lasciato andar giù quella casa è stata una terribile prova della nostra incapacità di salvare il nostro passato e i segni della nostra memoria, in tre parole della nostra colpevole ignorante cialtroneria. Ma forse ancora peggio è pensare che chiunque ci fosse andato dopo ci sarebbe vissuto in maniera tanto inadeguata che forse è meglio che le cose siano andate così, lasciando una memoria che si riapre ferita quando passi davanti al rudere e pensi ad allora.
L’Albina, che stava su con il suo silenzioso e timido fratello, brontolava sempre. Magari se volevi piantare la tenda lì vicino ti mandava via dicendoti di andare alla fontana dell’Antola verso Caprile, che lì le spaventavi le bestie (forse non ne aveva neppure più). Ti dava poche cose da mangiare, in genere prendevamo panini perchè oltre che in bolletta eravamo anche un po' schifiltosi. Aveva un vino aspretto e un caffè di quello lungo. Noi andavamo nelle stanzette a sinistra dell’ingresso. In quella in fondo c’era la stufa ed era la preferita. Se c'era neve qualcuno si toglieva gli scarponi e metteva i calzettoni ad asciugare sulle stanghette della stufa. Quando lei arrivava con la roba ti diceva di tutto, che quella non era una stalla e che se noi eravamo abituati così lo facessimo a casa nostra e non lì.
Poi la conoscevi davvero. Ti fermavi a parlare con lei, nella stanza di destra dove c’era una specie di banco di mescita. Scoprivi in lei una dignità incredibile nel vivere come ultima rappresentante di un mondo ormai scomparso, in cui nelle stazioni di posta -in fondo questo era casa sua- si apprendevano cose importanti di ciò che era successo a persone e in posti che non si potevano raggiungere altrimenti: Crocefieschi era “la Croce” e quando cambiava il tempo veniva la “nebbia lombarda”. Così capivi quanto eri distante dal suo mondo e che quando senza pensarci mettevi le scarpe sulla stufa era come se uno fosse entrato in casa tua a camminare sul tappeto con gli stivali infangati. Allora eri contento che lei ti desse un po' di confidenza e ti raccontasse le sue cose.
Ho il rimpianto di non aver fatto come Ugo e non averle mai chiesto, per non sembrare il turista a caccia di impressioni esotiche, se volevano, lei e il fratello, fare una fotografia con me davanti alla casa.


Se siete in gita, non chiedete mai la strada a uno del posto. A meno che non vi capiti di trovare l'unico romantico un po' balzano del paese, vi daranno l’indicazione per la carrozzabile più comoda e più banale perché le loro esigenze e il loro modo di vedere è diverso, più concreto del vostro. Se qualcuno vi chiedesse come andare a Santa Margherita direste il treno senza neppure pensare al vaporetto. L'atteggiamento alternativo romantico se ostentato può essere irritante per chi è sottoposto al pesante condizionamento della distanza e della difficoltà di spostamento.

Tutti assieme, cittadini e non, per motivi magari anche ad uno ad uno giusti, abbiamo buttato via tante cose che ora non sappiamo più dove cercare perché in Italia l'unica discarica a impatto ambientale tanto basso da non poterla ritrovare è quella della memoria. Ma tant'è ci basta di essere ecologisti e contenti e nel nostro cuore c'è sempre spazio per un mulino bianco dove tutto è sano naturale e genuino, possibilmente inodore incolore e insapore come l'acqua lievissima e purissima delle sorgenti alpine. Discorsi difficili per un povero escursionista dotato di tensione ideale standard e privo di stigmate intellettuali: meglio finirla lì.