mercoledì 19 aprile 2017

Guardare il tempo che passa

(dal "Fondo antico dei quaderni", luglio 2005)

La prima volta che ho sentito questa espressione era detta con un certo disprezzo, come uno che perde il tempo a guardarsi l’ombelico.
Ma la frase mi è subito piaciuta, come espressione della capacità di mettersi in sintonia con la natura e il mondo. Capacità che è una preziosa fonte di equilibrio. Riflettendoci ne è venuta fuori una vera e propria metodica di vita, un “protocollo” che sarebbe affascinante tradurre in realtà.

Ritirarsi in un posto fuori città, bello ma anche non bellissimo per non cadere nell’oleografia, purché abbastanza naturale da poter offrire una visione del tempo e delle stagioni. Farlo al solstizio d’inverno e stare là per almeno un anno e un giorno, in modo da poter osservare un ciclo della natura. Partire proprio all’inizio dell’inverno perché in quei giorni la vita è sommessa e anche se non sei molto bravo riesci a cogliere i segni che ti vengono offerti.
E perché è meglio passare dal silenzio alla vita e poi ritornare piano piano, dopo l’esplosione della primavera e l’ardore dell’estate, di nuovo alla quiete e al silenzio. Come una metafora della vita.

Non fare nulla se non il necessario per sostentarsi. E soltanto guardare la vita che procede, si sviluppa, giunge al culmine e torna a racchiudersi in sé stessa.
Cogliere tutti i segni più celati, quelli che il mondo ci nasconde e di solito neppure riusciamo a vedere. Solo guardare e cercare di diventare parte del tutto.

Un anno sabbatico vero, un anno nel mondo parallelo che vive accanto a noi e non sappiamo mai guardare.

Mettendo assieme tutte le quotidiane visioni ne verrebbe fuori un time lapse (va di moda dire così) che ricreerebbe il mondo. In fondo, il processo speculare a quello dei grandi viaggiatori, che sempre si muovono e ricreano il mondo facendo una sommatoria nello spazio invece che nel tempo, ma (quella dei viaggiatori) con molto più rumore di fondo.

Certo guardare il mondo con intenzione e con attenzione richiede una metodica per cogliere i segni del cambiamento e continuità di osservazione. Ma credo che ne varrebbe la pena.


Però il mondo esiste anche se non lo osserviamo (almeno a livello macroscopico c’è da giurarci) e allora certo esce il grillo parlante che ti fa l’obiezione: “E di notte?”. Niente paura, ci siamo attrezzati anche per questo e tappiamo la bocca ai saccenti. Basta che il proprio ciclo circadiano non sia di 24 ore, ma qualcosa di più. Per esempio circa tre quarti d’ora al giorno. In questo modo le ore di veglia si spostano ogni giorno e in un mese circa si ritorna da capo. Provare per credere. Del resto la Luna lo fa da miliardi di anni: funziona sempre e lei appare ammirevolmente serena e pacificata.

In tal modo si vivrebbe un ragionevole numero di ore notturne, sufficienti a conoscere anche questa parte del tempo. 

La giornata breve.

Solo poco fa camminavo nella luce del mattino, ma ora vado verso la sera, vedo le ombre allungarsi. Mi lascio distrarre troppo facilmente, sempre.