lunedì 11 maggio 2020

Andrà tutto bene


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Andrà tutto bene. Ma certo. Che frase banale e ammiccante!

Andrà: ma quando? E’ legittimo chiedersi piuttosto come adesso sta andando, e quindi ecco il verbo al futuro che va in crisi.
Tutto: che cosa è il tutto? Il tutto non è una grandezza misurabile perché misurare significa fare delle parti, e quindi è soggettivo. Il tutto di chi? Anche quello delle migliaia di morti e delle ancora più numerose migliaia di persone che quei morti hanno lasciato qui?
Bene: anche qui non capisco. Il bene è un concetto che comprende tutto e niente, se non lo si esplicita in fatti, relazioni, sentimenti.

Siamo alla solita eterna retorica, figlia anche del nostro ritenerci al centro del mondo e della storia; assolti dal dover delimitare pensieri e concetti, perché pensiamo che i nostri pensieri e concetti siano quelli possibili e solo quelli. Certo non è molto difficile dirlo, è piacione. Ci mette persino in una bolla di gradevolezza, come a dire a quanti ne sono fuori: perché non venite anche voi, perché volete rovinarci l’esistenza anche stavolta?
Allora proviamo, con umiltà, a guardare queste tre parole in controluce, per vedere le fibre che le tengono su in una frase, assoluta e forse assolutamente senza senso.

Certo prima o poi andrà tutto bene: ma per chi, entro quali limiti spaziali e temporali? Alcuni avrebbero preferito adesso, perché nel futuro intanto non ci sono entrati. Parlare al futuro in modo così assoluto è crudele e sotto sotto lo diciamo perché abbiamo la presunzione che entreremo in quell’elite di fortunati. Cosa a ben vedere non solo ingiusta, ma anche azzardata. Magari non ci entreremo affatto; stiamo attenti alle possibili fregature! Siamo così generosi da dirla anche solo per gli altri, dandola come spinta a coloro che nel futuro ci entreranno davvero, con noi o senza? Non ci credo.

Cosa sia poi il tutto, poi, non lo ho ancora capito.
Il tutto di coloro che in Italia ascoltano questa ormai insopportabile e fra non molto disgustosa e totalitaria alluvione di falsa e drogata fiducia che si riversa da notiziari, tuttologiche considerazioni di presunti maestri di vita, persino dalle pubblicità? A proposito: la pubblicità sì che è resiliente. La sua intelligenza e tempestività nel catturare l’attimo e di reagire con i messaggi giusti (per sé stessa) è davvero prodigiosa. Ma alla fine anche essa ci stufa. Almeno a me succede così.
Il tutto dell’umanità adesso? Il tutto dell’umanità anche per il futuro? Il tutto per tutti? Tutti chi? Ma santo cielo, la larghezza di universo che riusciamo a intercettare fra l’estremamente piccolo e l’estremamente grande e l’estensione di tempo che riusciamo a immaginare dal (forse) momento iniziale al (forse) momento finale sono tanto ridicolmente piccole che questa parola dovremmo lasciarla soltanto ai fisici ed ai filosofi. Ma tant’è ci riteniamo al centro dello spazio e del tempo e quindi li trattiamo con leggerezza in modalità agenda delle cose da fare e stanze da tenere in ordine: di conseguenza di tutto parliamo e straparliamo sempre.

Bene. Qui mi arrendo, anche perché il gioco ormai lo avete capito. E lascio a voi definire cosa è bene, ricordando che la definizione è talvolta consolatoria e non bisogna essere cinici. Si può solo sperare che tutte le nostre personali e singole definizioni riescano a stare sufficientemente bene una a fianco all’altra. Altrimenti sono guai, come dimostra la storia del genere umano.

Ma non siamo pessimisti. In fondo, andrà tutto bene. (Ma porca miseria, allora non ci siamo proprio capiti)